Ricorso della Regione Calabria (P.I. e cod. fisc.:  02205340793),
in  persona  del  Presidente  della   Giunta   regionale   e   legale
rappresentante  in  carica,  Giuseppe  Scopelliti,  autorizzato   con
deliberazione della Giunta regionale  n.  437  del  5  ottobre  2012,
rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall'avv. Paolo Filippo
Arillotta,       (cod.       fisc.       RLLPFL58R31H224N,       PEC:
avvocaturaregionale©pec.regione.calabria.it,)  e   dall'avv.   Enrico
Ventrice       (cod.       fisc.:       VNTNCF64E19F537S,        PEC:
enricoventrice@legpec.it;), in virtu' di procura speciale  rilasciata
a margine, con domicilio  eletto  in  Roma,  presso  l'avv.  Graziano
Pungi, via Ottaviano n. 9; comunicazioni via fax al n. 0961-774317. 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in carica - Roma. 
    Per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
17,  rubricato  «Riordino  delle  province  e  loro   funzioni»   del
decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95  convertito  con  modificazioni  in
legge 7 agosto 2012 n. 135,  recante  «Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini», pubblicata nel Supplemento ordinario n. 173 alla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 189 del 14 agosto 2012,  nelle
parti  di  seguito  indicate  e  per  le   violazioni   delle   norme
costituzionali appresso specificate. 
    Si premette: 
    A) Nel 1861, all'atto dell'unificazione del  Regno  d'Italia,  le
province italiane erano 59; esse hanno avuto  un  primo  aumento  con
l'annessione del Veneto con la III guerra d'indipendenza, del Lazio e
con le conquiste successive alla  prima  guerra  mondiale;  sotto  il
regime fascista, in tempo di pace, esse erano arrivate al  numero  di
95 e divennero 98 con l'annessione dei territori occupati in  Croazia
e Slovenia durante la II guerra mondiale. 
    B) Il numero delle province  italiane  si  e'  poi  ristretto  al
termine dell'ultima guerra, a seguito della restituzione di territori
occupati alla Iugoslavia. 
    C) Oggi le  province  italiane  sono  territorialmente  110,  cui
corrispondono 107 Amministrazioni Provinciali elettive, con un  trend
costantemente ascendente dal secondo dopoguerra, che  e'  espressione
della sempre maggiore esigenza - costituzionalmente  garantite  -  di
partecipazione alle scelte pubbliche, mediante un livello di  Governo
prossimo ai cittadini. 
    D) Per la prima volta  a  far  data  dall'unita'  d'Italia,  anzi
dall'entrata in vigore  dello  Statuto  albertino,  il  decreto-legge
impugnato potrebbe produrre la riduzione  rilevantissima  degli  Enti
provinciali, in tempo di  pace,  con  decisione  verticistica,  senza
previa consultazione dei cittadini interessati (consultazione di  cui
hanno potuto godere i cittadini della Sardegna,  che  a  seguito  dei
risultati dal recente referendum regionale, sta studiando una riforma
complessiva degli enti provinciali). 
    E) L'art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 convertito con
modificazioni  in  legge  7  agosto  2012  n.   135,   prefigura   la
soppressione di un gran numero di province, che anche in questo  caso
integra una sorta di percorso di guerra: 
    approvazione  ed  emanazione  del  decreto-legge  che  impone  il
«riordino»; 
    un atto amministrativo adottato con deliberazione  del  Consiglio
dei  ministri,  entro  dieci  giorni  dall'entrata  in   vigore   del
decreto-legge, delinea i  requisiti  minimi  per  il  «riordino»,  da
individuarsi  nella  dimensione  territoriale  e  nella   popolazione
residente; 
    il consiglio  delle  autonomie  locali  approva  una  ipotesi  di
«riordino» delle  province  ubicate  nella  regione,  entro  settanta
giorni  dalla  pubblicazione  di  tale  atto  amministrativo,  e   la
trasmette alla regione il giorno successivo; 
    ciascuna regione trasmette al Governo una proposta di «riordino»,
entro venti giorni dalla  ricezione  dell'atto  del  consiglio  delle
autonomie locali; 
          un «atto legislativo» di iniziativa governativa procede  al
riordino delle province, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore
della legge di conversione del decreto-legge. 
        F) Il presente ricorso si  basa  ovviamente  sulla  posizione
costituzionalmente riconosciuta alle Regioni e agli enti locali nella
carta entrata  in  vigore  il  1°  gennaio  1948  con  le  successive
modificazioni e integrazioni, ma non appare inopportuno ricordare che
gia' nello Statuto del Regno di Sardegna, che ha poi  regolato  anche
le istituzioni del Regno d'Italia, le province godevano  di  dignita'
costituzionale, all'art. 74: «Le istituzioni comunali e  provinciali,
e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati  dalla
legge». 
    L'impugnazione della Regione Calabria  e'  qui  proposta  avverso
l'art. 17 del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95,  convertito  con
modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n.  135,  pubblicata  il  14
agosto 2012, limitatamente ai commi 1, 2, 3,  4  e  4-bis,  anche  in
virtu' della deliberazione del Consiglio delle autonomie locali,  che
in data 1° ottobre 2012, ha fatto espressa richiesta di impugnazione. 
    Le norme  impugnate  sono  illegittime  e  violano  la  sfera  di
competenza della Regione, nonche' gli ambiti di  autonomia  garantiti
dalla Costituzione agli enti locali e ai cittadini calabresi, le  cui
istanze  la  Regione  intende  rappresentare,   in   relazione   alle
illegittime  modifiche  al  sistema  degli  enti  locali  in   ambito
regionale, per i seguenti 
 
                             M O T I V I 
 
    1. - Violazione degli artt. 77 e  114  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'illegittimo utilizzo della decretazione d'urgenza per comprimere
il sistema delle autonomie locali e della abusiva intromissione nella
sfera di autonomia garantita dall'art. 114 Cost. 
    I  commi  impugnati  dell'art.  17,  rubricato  «Riordino   delle
province  e  loro  funzioni»,  con   la   dichiarata   finalita'   di
«contribuire al conseguimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
imposti  dagli  obblighi  europei  necessari  al  raggiungimento  del
pareggio di bilancio» (comma 1) dispongono che  «Entro  dieci  giorni
dalla data di entrata in vigore del presente  decreto,  il  Consiglio
dei ministri determina, con apposita deliberazione,  da  adottare  su
proposta dei Ministri dell'interno e della pubblica  amministrazione,
di concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  il
riordino  delle  province  sulla  base  di   requisiti   minimi,   da
individuarsi  nella  dimensione  territoriale  e  nella   popolazione
residente in ciascuna provincia» (comma 2); si  prevede  inoltre  che
«Il Consiglio delle  autonomie  locali  di  ogni  regione  a  statuto
ordinario o, in mancanza, l'organo regionale di raccordo tra  regioni
ed enti locali, entro settanta giorni dalla data di pubblicazione  in
Gazzetta Ufficiale  della  deliberazione  di  cui  al  comma  2,  nel
rispetto della continuita' territoriale della provincia, approva  una
ipotesi di riordino relativa alle  province  ubicate  nel  territorio
della rispettiva regione e la invia alla regione  medesima  entro  il
giorno successivo. Entro venti  giorni  dalla  data  di  trasmissione
dell'ipotesi  di  riordino  o,  comunque,  anche  in  mancanza  della
trasmissione,  trascorsi  novantadue  giorni  dalla  citata  data  di
pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di  cui
al comma 4, una proposta  di  riordino  delle  province  ubicate  nel
proprio territorio, formulata sulla base dell'ipotesi di cui al primo
periodo» (comma 3); infine  «Entro  sessanta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto,
con atto legislativo  di  iniziativa  governativa  le  province  sono
riordinate sulla base delle proposte regionali di cui al comma 3, con
contestuale ridefinizione dell'ambito delle citta'  metropolitane  di
cui all'art. 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni  ai
sensi dell'art. 133, primo  comma,  della  Costituzione  nonche'  del
comma 2 del medesimo art. 18. Se alla data di cui  al  primo  periodo
una o piu' proposte di riordino delle regioni non sono  pervenute  al
Governo, il provvedimento legislativo di cui al citato primo  periodo
e' assunto previo parere della Conferenza unificata»  (comma  4);  il
ruolo di comune capoluogo sara' assunto dai  capoluogo  di  provincia
con maggiore popolazione residente (comma 4-bis). 
    Le norme  impugnate  istituiscono,  quindi,  un  procedimento  di
rilievo costituzionale, derogatorio dell'art. 133 (in merito al quale
propone in seguito apposito motivo di impugnazione), che  porta  alla
soppressione di un rilevante numero di  amministrazioni  provinciali,
accorpandole per grandi gruppi di popolazione e territorio. 
    Occorre premettere che  il  nuovo  Titolo  V  -  parte  II  della
Costituzione - con l'attribuzione  alle  Regioni  della  potesta'  di
determinare la  propria  forma  di  governo,  l'elevazione  al  rango
costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un
proprio statuto, la clausola di residualita' a favore delle  Regioni,
che ne ha  potenziato  la  funzione  di  produzione  legislativa,  il
rafforzamento della autonomia  finanziaria  regionale  e  degli  enti
locali, l'abolizione dei controlli statali, ha disegnato di certo  un
nuovo modo d'essere del  sistema  delle  autonomie.  In  particolare,
nella formulazione del nuovo art. 114 - 1° comma della  Costituzione,
gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco  dello  Stato
come  elementi  costitutivi  della  Repubblica  svelandone,  in   una
formulazione  sintetica,  la   comune   derivazione   dal   principio
democratico e dalla sovranita' popolare (Corte cost. 12  aprile  2002
n. 106). 
    Come accennato in  premessa,  gia'  nello  Statuto  albertino,  a
comuni e province  era  assegnato  il  rango  di  enti  con  dignita'
costituzionale. 
    E ancora prima della riforma del titolo V del  2001,  l'art.  128
cost. istituiva un sistema di autonomia «rafforzata» in favore  degli
enti locali, garantita da «principi fissati da leggi  generali  della
Repubblica». In particolare, le «leggi  generali»,  pur  non  essendo
leggi  costituzionali  e  non   possedendone   l'efficacia   formale,
svolgevano (e svolgono), su un piano diverso,  una  analoga  funzione
costituente. «Le leggi generali della  Repubblica,  di  cui  all'art.
128, sono quelle  emesse  dal  Parlamento  nell'esercizio  della  sua
funzione  di  supremo  garante  dell'equilibrio  costituzionale   fra
province e comuni da  un  lato  e  Stato  e  regioni  dall'altro.  La
suddetta attivita' legislativa in chiave di autonomia non vuol essere
una tantum, bensi' di carattere permanente,  ai  sensi  dell'art.  5,
ultimo inciso.» (Commentario della Costituzione, Branca - Pizzorusso,
art. 128-133, tomo III, p. 11-12, Zanichelli). 
    L'autonomia rafforzata prevista dall'(abrogato) art.  128  Cost.,
e' attuata, tra l'altro,  dall'art.  1  del  decreto  legislativo  n.
267/2000 (vigente), che stabilisce che «La legislazione in materia di
ordinamento degli enti locali e di  disciplina  dell'esercizio  delle
funzioni ad essi  conferite  enuncia  espressamente  i  principi  che
costituiscono limite inderogabile per la  loro  autonomia  normativa»
(comma 2), e che «Ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, le leggi
della Repubblica non possono introdurre  deroghe  al  presente  testo
unico se non mediante espressa modificazione delle sue  disposizioni»
(comma 4). 
    La  premessa  di  cui  sopra  serve  a  precisare  che  la  nuova
formulazione dell'art. 114 cost. (e delle altre norme del titolo  V),
va  sicuramente   nella   direzione   di   una   maggiore   rilevanza
costituzionale  degli  enti  locali,  rispetto  alla  pur   rilevante
autonomia «rafforzata» di cui all'art. 128  abrogato,  in  quanto  si
passa da un'autonomia garantita da  «leggi  generali»,  all'autonomia
«secondo i principi fissati dalla Costituzione», di cui all'art.  114
- 2° comma: locuzione che, nel  testo  abrogato  dell'art.  115,  era
riservata alle sole regioni. Da  cio',  discendono,  a  parere  della
ricorrente,  varie  conseguenze  in  relazione  alle   illegittimita'
denunciate. 
    In primo luogo, la pretesa di intervenire con atti  aventi  forza
di legge ordinaria sull'ordinamento delle province, si pone in  netto
contrasto   con   la   previsione   dei   «principi   fissati   dalla
Costituzione», di cui all'art. 114 - 2° comma e quindi  in  conflitto
con il sistema di gerarchia delle fonti; in particolare,  si  ritiene
che nessuna procedura possa portare alla soppressione di una o piu' o
di tutte le province esistenti, se non con legge costituzionale, o in
virtu' di principi contenuti in norma  di  rango  costituzionale,  in
quanto le province, una volta istituite, godono  ai  sensi  dell'art.
114, di una vita e di un'autonomia propria. 
    Per  altro,  la  procedura  di  revisione  delle   circoscrizioni
provinciali (ove si voglia inquadrare l'art.  17  impugnato  in  tale
ipotesi minimalista, ma e' in realta' una soppressione  di  enti)  e'
prevista in una di quelle leggi  generali  di  cui  all'abrogato  120
Cost., cioe' l'art. 21 del decreto legislativo  267/2000,  che,  sino
all'entrata in vigore della  nuova  «Carta  delle  autonomie  locali»
potrebbe essere derogato solo da norma espressa.  In  secondo  luogo,
difettano assolutamente  i  requisiti  di  necessita'  e  di  urgenza
previsti dall'art. 77 Cost. per l'adozione di un decreto-legge. 
    Su un piano formale, un  decreto-legge,  contenente  norme  assai
eterogenee, non puo'  introdurre  norme  che  vanno  ad  incidere  su
principi di rango costituzionale ai sensi dell'art. 114 Cost., e, sul
piano sostanziale, il completo ridisegno del sistema delle  autonomie
provinciali non puo' essere  demandato  alla  decretazione  d'urgenza
solo sulla base del  fine  di  «contribuire  al  conseguimento  degli
obiettivi  di  finanza  pubblica  imposti  dagli   obblighi   europei
necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio». 
    Infatti, la soppressione di una gran numero di  province,  da  un
lato comporta un intervento destinato a  improntare  per  decenni  la
struttura e funzione del sistema delle  autonomie,  come  avviene  in
genere con l'adozione delle carte costituzionali ed e' un  intervento
per sua natura incompatibile con le caratteristiche  contingenti  del
decreto-legge; dall'altro comporta attivita' esecutive da parte dello
Stato, delle Regioni e dei Comuni (si pensi solo alla redistribuzione
del personale, alla strutturazione dei bilanci degli enti  accorpati,
alla  ridefinizione  degli  uffici),  che  vanno  ben   al   di   la'
dell'orizzonte temporale e logico del decreto-legge  ed  imporrebbero
un'approfondita  elaborazione  e   programmazione,   oltre   che   il
coinvolgimento dei  cittadini  ed  enti  interessati,  come  previsto
dall'art. 133 Cost. 
    La enunciata finalita' di  «contribuire  al  conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica  imposti  dagli  obblighi  europei»  si
presenta, poi, del  tutto  incongrua  ad  integrare  i  requisiti  di
necessita' ed urgenza; come e' noto, con il precedente  decreto-legge
6 dicembre 2011 n. 201, art. 23, si  e'  proceduto  ad  una  radicale
riforma delle funzioni e degli organi delle  province;  ancor  prima,
con decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138 si  era  proceduto,  all'art.
16, alla «Riduzione dei costi relativi alla  rappresentanza  politica
nei  comuni  e  razionalizzazione   dell'esercizio   delle   funzioni
comunali». Non si e' quindi in presenza di una contingente necessita'
di provvedere, bensi'  di  azioni  necessariamente  di  sistema,  che
vengono pero' realizzate con interventi frammentari e non coordinati,
cioe', come direbbero i biologi, una specie di «equilibrio  instabile
punteggiato». 
    Infine, l'art. 17 del  decreto-legge  ha  solo  in  apparenza  un
effetto immediato sul numero delle province, in  quanto  da  un  lato
pone una (illegittima) deroga al procedimento previsto dall'art.  133
Cost., relativamente al potere di iniziativa, alla consultazione  dei
cittadini  interessati  e  alla  funzione  consultiva  regionale,  ma
dall'altro si limita a  rinviare  ad  una  futura  legge  l'effettiva
soppressione di alcune province. Legge che potrebbe non arrivare mai. 
    Quindi, la decretazione urgente ha il solo  fine  di  elidere  un
segmento del procedimento costituzionale ex art. 133, ma non  esplica
l'effetto «urgente» di diminuire gli apparati degli enti locali. 
    Le  violazioni  denunciate  si  risolvono   comunque   in   forte
limitazione delle competenze regionali. 
    2. - Violazione gli art. 3, 5, 114, 117 Cost., in  quanto  l'art.
17  incide  irrazionalmente  sul  sistema  delle   autonomie   locali
costituzionalmente  garantito,  mediante  adozione,  per  altro,   di
criteri quali la dimensione territoriale e la popolazione  residente,
di rango inferiore alle norme costituzionali ed invade la  sfera  di'
competenza legislativa riservata alla Regione. 
    Ad avviso della Regione Calabria, il sistema delineato  dall'art.
17 del decreto-legge crea una  compressione  delle  autonomie  locali
ingiustificabile sotto il profilo costituzionale. 
    In particolare, l'attuazione del  decreto-legge  porterebbe  alla
soppressione di un rilevante numero di  amministrazioni  provinciali,
accorpandole per grandi gruppi di popolazione e territorio. 
    La logica della creazione  di  «mega-province  o  macro-province»
contenenti grossi aggregati di popolazione e di territorio, contrasta
con l'art. 5 della Costituzione, che prevede invece il riconoscimento
e la promozione delle autonomie locali, nonche' con l'art.  114,  che
prevede la loro disciplina costituzionale quali  enti  autonomi,  con
statuti, poteri e funzioni, secondo la naturale scansione  sociale  e
territoriale, che e' la sostanza e la ragione  d'essere  dello  Stato
delle Autonomie. 
    L'art. 5 introduce, infatti, in via di principio, la garanzia  di
un'ampia liberta' conferita alle diverse  collettivita'  territoriali
nel perseguimento e nella gestione di interessi locali e  disegna  un
sistema di livelli di governo composti dagli enti  locali  capaci  di
dotarsi di un proprio indirizzo politico  e  amministrativo  il  piu'
vicino possibile al cittadino, con un'autonomia anche finanziaria. 
    In verita', i principi di cui all'art. 5 e 114,  in  merito  alle
dimensioni delle province quali  enti  area  vasta,  sono  attuati  e
spiegati in maniera del tutto chiara dall'art.  21  -  3°  comma  del
decreto legislativo n. 267/2000, tuttora vigente: 
        «3. Per  la  revisione  delle  circoscrizioni  provinciali  e
l'istituzione di nuove province i comuni esercitano  l'iniziativa  di
cui all'art. 133  della  Costituzione,  tenendo  conto  dei  seguenti
criteri ed indirizzi: 
    a) ciascun territorio provinciale deve  corrispondere  alla  zona
entro la quale si svolge  la  maggior  parte  dei  rapporti  sociali,
economici e culturali della popolazione residente; 
    b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per
ampiezza, entita' demografica, nonche' per  le  attivita'  produttive
esistenti  o  possibili,  da  consentire  una  programmazione   dello
sviluppo che possa  favorire  il  dequilibrio  economico,  sociale  e
culturale del territorio provinciale e regionale;» 
    I criteri contenuti nelle riportate lettere a)  e  b)  del  comma
riportato corrispondono poi pienamente ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza dettati dall'art. 118 Cost.; i criteri
di  accorpamento  ipotizzati  dall'art.  17  impugnato   contrastano,
invece, con i principi sopra enunciati, in  quanto  la  creazione  di
«mega-province o macro-province» e' giustificata da criteri meramente
quantitativi,  non  previsti  in  Costituzione  (e  quindi  di  rango
inferiore alla stessa), che creano un  insanabile  conflitto  con  la
scala e la dimensione territoriale e demografica delle Regioni e  con
le funzioni delle stesse; ogni Regione finirebbe infatti per avere al
suo interno 2 o 3 grandi  province  (o  addirittura  una  sola),  che
esercitano  sostanzialmente  le  medesime  funzioni  di  indirizzo  e
coordinamento  dell'Amministrazione  regionale,  cioe'   degli   enti
praticamente e realmente inutili. 
    L'adozione del criterio quantitativo evidenzia, inoltre, un grave
dissidio con l'art. 3 della Costituzione. 
    Infatti, la fredda considerazione  dei  soli  numeri  (estensione
geografica e popolazione) crea una palese violazione del principio di
eguaglianza formale, del principio di razionalita'  normativa  e  del
principio di eguaglianza sostanziale. 
    Il  riordino  delle  province  basato  sui  requisiti  minimi  di
dimensione  territoriale  e   di   popolazione   residente   portera'
evidentemente  alla  soppressione  degli  enti   piu'   piccoli   con
aggregazione degli stessi alle province piu' consistenti, alle  quali
sara' automaticamente attribuita, ai sensi del comma 4-bis, la citta'
capoluogo. 
    Tale criterio priva una parte dei cittadini, quelli degli enti di
minori dimensioni, da sopprimere,  della  possibilita'  di  usufruire
della vicinanza dei servizi e delle istituzioni provinciali,  che  e'
invece  riservata  ai  cittadini  dei  centri  maggiori,  creando  un
evidente vulnus in punto di eguaglianza formale; i criteri  adottati,
generano, quindi, una irrazionale disparita' di trattamento, che  non
e' attenuata da alcun valido correttivo, che consideri (al di la' dei
numeri) il bacino di rapporti sociali, economici  e  culturali  della
popolazione residente o la dimensione dell'Ente non solo  in  ragione
dell'entita'  demografica,  ma  anche  delle   attivita'   produttive
esistenti o possibili, e delle  necessita'  di  programmazione  dello
sviluppo, che possa favorire il  riequilibrio  economico,  sociale  e
culturale del territorio. 
    La sostanziale concentrazione delle istituzioni  provinciali  nei
centri piu' grandi determina, inoltre, conseguentemente, trattando in
modo eguale  situazioni  diverse,  l'impossibilita'  di  attuare  gli
strumenti di eguaglianza sostanziale e propulsiva di cui  all'art.  3
secondo comma Cost., in quanto relega  i  cittadini  delle  comunita'
piu' piccole a ruoli inevitabilmente marginali. 
    Tornando a quanto, in parte, sopra accennato, l'art. 17 impugnato
viola poi, direttamente e irrimediabilmente  l'art.  118  Cost.,  che
impone, nella distribuzione delle funzioni amministrative tra i  vari
livelli di governo,  il  rispetto  dei  principi  di  sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza. 
    Secondo la definizione normativa  anticipata  nella  legislazione
degli anni 90, il principio di sussidiarieta' comporta l'attribuzione
della generalita' del compiti  e  delle  funzioni  amministrative  ai
comuni, alle province e alle comunita' montane, secondo le rispettive
dimensioni   territoriali,   associative   e    organizzative,    con
l'esclusione delle sole  funzioni  incompatibili  con  le  dimensioni
medesime, attribuendo le responsabilita' pubbliche anche al  fine  di
favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale
da parte delle famiglie, associazioni  e  comunita',  alla  autorita'
territorialmente  e   funzionalmente   piu'   vicina   ai   cittadini
interessati. Il principio di adeguatezza, e'  relativo  all'idoneita'
organizzativa dell'amministrazione ricevente a  garantire,  anche  in
forma associata  con  altri  enti,  l'esercizio  delle  funzioni.  Il
principio  di  differenziazione   nell'allocazione   delle   funzioni
considera   le   diverse    caratteristiche,    anche    associative,
demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi. 
    I tre principi enunciati impongono che l'attivita' legislativa  e
amministrativa sia improntata alla massima considerazione delle varie
e multiformi esigenze degli enti locali, adottando soluzioni  duttili
e  differenziate,  al  fine   di   creare   organismi   e   strumenti
istituzionali  capaci  di  adattarsi  alle  piu'   varie   situazioni
geografiche e socio-economiche. 
    L'art.  17  impugnato,  invece,  irrigidisce  l'ente  provinciale
applicando criteri di accorpamento basati su minimi di  territorio  e
di popolazione, che in realta' tendono a sfumare se non ad  annullare
la variegata diversita' delle realta' provinciali, e a trasformandole
in mere circoscrizioni di decentramento regionale. 
    I commi impugnati  dell'art.  17,  violano  in  maniera  plastica
l'art. 117 cost.  e  invadono  la  sfera  di  competenza  legislativa
riservata alla Regione. 
    In materia di enti locali, l'art. 117 - 2° comma lett. p) riserva
alla funzione legislativa esclusiva statale la materia  «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane»,  mentre  attribuisce  espressamente
alle Regioni, per  esclusione,  la  materia  «polizia  amministrativa
locale», (lett. f). 
    Nel campo della funzione legislativa  concorrente,  non  sembrano
esservi materie afferenti l'istituzione e  l'ordinamento  degli  enti
locali. 
    Ai sensi dell'art. 117 - comma 4, alla Regione spetta la funzione
legislativa  residuale,  nelle  altre   materie   non   espressamente
riservate allo Stato. 
    In  relazione   alla   competenza   legislativa   regionale,   la
giurisprudenza costituzionale e' giunta a individuare  alcuni  limiti
emergenti dagli elenchi del 2° e 3° comma dell'art.  117:  in  alcuni
casi la norma costituzionale include materie che possono individuarsi
solo in termini finalistici, avendo riguardo non alle fattispecie che
costituiscono oggetto della legislazione, ma agli scopi che tendono a
perseguire; in questo caso la Costituzione attribuisce una competenza
«trasversale» che consente allo Stato di incidere sulla disciplina di
qualsiasi  ambito  materiale,  nel  perseguimento   della   finalita'
assegnata; in altri casi, si  e'  ritenuto  che  allorche'  lo  Stato
avochi a se', per sussidiarieta', funzioni  amministrative  ai  sensi
dell'art. 118, tali funzioni debbano essere  organizzate  e  regolate
dalla  legge  statale  per  esigenze  di  uniformita'  su  tutto   il
territorio nazionale. 
    Cio' detto, la  competenza  residuale  regionale  va  individuata
anzitutto con  riferimento  agli  ambiti  di  competenza  legislativa
concorrente disciplinati dall'abrogato art. 117; essi erano: 
    ordinamento degli uffici e degli enti  amministrativi  dipendenti
dalla regione; 
    circoscrizioni comunali; 
    polizia locale urbana e rurale; 
    fiere e mercati; 
    beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; 
    istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; 
    musei e biblioteche di enti locali; 
    urbanistica; 
    turismo ed industria alberghiera; 
    tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; 
    viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; 
    navigazione e porti lacuali; 
    acque minerali e termali; 
    cave e torbiere; 
    caccia; 
    pesca nelle acque interne; 
    agricoltura e foreste; 
    artigianato. 
    Tali materie  rientrano  nella  competenza  residuale  regionale,
pero' con  il  problema  delle  sovrapposizioni  con  le  altre  voci
elencate  nell'art.  117  vigente  ed  attribuite   alla   competenza
concorrente o esclusiva dello Stato; ad esempio la  «caccia»  con  la
«tutela dell'ambiente» o la voce «musei e biblioteche di enti locali»
con la «tutela dei beni culturali» o «urbanistica» che  coincide  con
il «governo del territorio». 
    Orbene,  la  Regione  Calabria  Ritiene   che   l'art.   17   del
decreto-legge impugnato abbia esercitato anche  funzioni  legislative
esclusivamente  riservate  alla  Regione,  perche'  non   contemplate
dall'art. 117 commi 2 e 3, nuovo testo. 
    La norma impugnata, infatti: 
    dispone il riordino delle  province  e  loro  funzioni,  mediante
soppressione degli enti di minori dimensioni (comma 1); la  norma  e'
illegittima, perche' non rientra nella competenza statale la funzione
legislativa di riordino territoriale delle province, ma solo la legge
di cui all'art. 133 Cost., che e' una legge-provvedimento a contenuto
vincolato dalla proposta, preceduta dall'iniziativa dei comuni e  dal
parere della Regione interessata; 
    demanda al Consiglio dei ministri la determinazione dei requisiti
minimi,  da  individuarsi  nella  dimensione  territoriale  e   nella
popolazione residente in ciascuna provincia (comma 2);  la  norma  e'
illegittima, perche' non rientra nella competenza statale la funzione
legislativa di fissare requisiti minimi di popolazione e territorio; 
    prevede che il Consiglio delle autonomie locali di ogni  regione,
approvi una ipotesi di riordino relativa alle  province  ubicate  nel
territorio della rispettiva regione e la trasmetta al Governo  (comma
3); la norma e' illegittima, perche'  non  rientra  nella  competenza
statale la funzione legislativa  concernente  l'organizzazione  e  il
funzionamento del Consiglio delle autonomie locali, che e' riservata,
ai sensi dell'art. 123 cost. ultimo comma, allo Statuto regionale; 
    prevede che le province sono riordinate con atto  legislativo  di
iniziativa governativa sulla base delle  proposte  regionali,  previo
parere della Conferenza unificata, nel caso in  cui  manchino  una  o
piu' delle proposte regionali (comma 4);  la  norma  e'  illegittima,
perche' non rientra nella competenza statale la funzione  legislativa
di riordino territoriale delle province, ma  solo  la  legge  di  cui
all'art. 133  Cost.,  che  e'  una  legge-provvedimento  a  contenuto
vincolato dalla proposta, preceduta dall'iniziativa dei comuni e  dal
parere della Regione interessata: 
    dispone che, in esito al riordino, il comune gia' capoluogo della
provincia con maggiore  popolazione  residente  assume  il  ruolo  di
capoluogo della nuova provincia accorpata (comma 4-bis); la norma  e'
illegittima, perche' non rientra nella competenza statale la funzione
legislativa di fissare il capoluogo provinciale. 
    E' da ritenersi, per altro, che la  stessa  funzione  legislativa
concretatasi  nell'art.  21  del  decreto  legislativo  n.   267/2000
menzionato in precedenza, concernente  i  criteri  per  la  revisione
delle circoscrizioni provinciali, rientri nella competenza  residuale
regionale, proprio perche' non inclusa negli elenchi di cui  all'art.
117 - 2° e 3° comma Cost. 
    Non si puo' infine dubitare che la funzione  legislativa  statale
in merito alle «funzioni fondamentali di Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane» sia cosa ben diversa dal riordino territoriale  e  dai
criteri per la revisione delle  circoscrizioni  provinciali;  ne'  e'
prova la circostanza che  i  progetti  di  legge  in  discussione  in
parlamento aventi ad oggetto la «Carta delle autonomie  locali»,  che
disciplina le «funzioni fondamentali» di cui all'art. 117 - 2°  comma
lett. p), non hanno mai toccato l'argomento oggetto dell'art. 17 oggi
impugnato. 
    Per essere ancora piu' chiari e d evitare equivoci:  la  funzione
legislativa in materia di «circoscrizioni provinciali»  (popolazione,
dimensioni, confini, etc.), rientra nella competenza regionale,  cosi
come vi rientrava prima della riforma del  titolo  V  (e  vi  rientra
tuttora), la materia di «circoscrizioni comunali». 
    4) Violazione del procedimento previsto dall'art. 133 Cost.,  con
parziale  illegittima  delegificazione  dei  criteri  di  «riordino».
Violazione dell'art. 5 della Convenzione europea relativa alla «Carta
europea dell'autonomia locale». 
    La Regione Calabria comprende attualmente cinque province. 
    Le province di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria,  preesistono
all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica. 
    La  provincia  di  Crotone  e'  stata   istituita   con   decreto
legislativo 6 marzo 1992,  n.  249  in  virtu'  di  delega  contenuta
nell'art. 63 della L. 142/1990, sulla base  dell'iniziativa  adottata
dai comuni interessati, previo parere espresso  in  data  29  gennaio
1992  dalla  Regione  Calabria,   a   norma   dell'art.   133   della
Costituzione. 
    La provincia di Vibo Valentia  e'  stata  istituita  con  analogo
decreto legislativo 6 marzo 1992, n. 253, sulla base  dell'iniziativa
adottata dai comuni interessati, previo parere espresso  in  data  29
gennaio 1992 dalla Regione Calabria,  a  norma  dell'art.  133  della
Costituzione. 
    Il  procedimento  contenuto  nell'art.   17   del   decreto-legge
impugnato contrasta in maniera evidente con il dettato dell'art. 133. 
    L'art. 17 non prevede  in  alcun  modo  l'iniziativa  dei  comuni
interessati, ne' tale iniziativa e' surrogata  dalla  previsione  che
l'ipotesi di riordino delle province e' demandata al Consiglio  delle
autonomie locali dal comma 3 dell'art. 17; infatti, il  Consiglio  e'
organo di consultazione tra le  Regione  e  gli  enti  locali  e  non
organismo rappresentativo dei comuni. 
    Lo  stesso  comma  3  dell'art.  17,  contiene   una   disciplina
configgente con l'art. 133 Cost., in quanto elide la necessita' della
consultazione  della  Regione,  sostituendola  con  il  parere  della
Conferenza unificata nei casi in cui la Regione non si  pronunci,  ma
soprattutto, impone un procedimento  verticistico,  che  e'  l'esatto
contrario di quanto imposto dall'art. 133. Che contempla l'iniziativa
dal basso. 
    Le deviazioni dal procedimento delineato dall'art. 133  non  sono
sanate dalla circostanza che il legislatore ha  voluto  procedere  ad
una revisione generale delle circoscrizioni provinciali, anzi dato  i
rilevantissimi   effetti   di   sistema   sulla   organizzazione    e
funzionamento  delle  province  interessate,  la  consultazione   dei
cittadini e delle amministrazioni interessate avrebbe dovuto essere a
maggior ragione preservata. 
    La procedura introdotta dall'art.  17,  viola  inoltre  l'art.  5
della Convenzione europea relativa alla «Carta europea dell'autonomia
locale», firmata a Strasburgo il  15  ottobre  1985,  ratificato  con
legge  30  dicembre  1989,  n.  439  rubricato  «Tutela  dei   limiti
territoriali  delle  collettivita'  locali»,  che  recita  «Per  ogni
modifica dei limiti  locali  territoriali,  le  collettivita'  locali
interessate,    dovranno    essere    preliminarmente     consultate,
eventualmente mediante referendum, qualora cio' sia consentito  dalla
legge.» 
    E'  evidente,  infatti,  la  violazione  del  vincolo   derivante
dall'ordinamento  internazionale,  che  si'  traduce,  nel  caso   in
questione, in una illegittima compressione dei diritti  politici  dei
cittadini regionali. 
    L'art.  17,  inoltre,  appare  difforme  dallo  schema   previsto
nell'art. 133,  attesa  la  devoluzione  ad  un  atto  amministrativo
governativo (art. 17, comma 2)  della  individuazione  dei  parametri
minimi territoriali e demografici, peraltro  gia'  previsti  a  legge
ordinaria generale e quindi derogabile solo espressamente (l'art.  21
d.lvo 267/2000). 
    A parere della Regione, infatti, l'art.  133  Cost.  contiene  un
riserva  di  legge  «rafforzata»  con  la  previsione   di   elementi
procedurali ulteriori rispetto alla  legge  ordinaria,  in  relazione
alla quale deve escludersi  che  una  parte  della  disciplina  possa
essere demandata alla fonte amministrativa (e che si ritiene comunque
essere di competenza regionale).